I processi di aggregazione proteica riscuotono attualmente un notevole interesse. Diverse gravi patologie neurodegenerative sono infatti caratterizzate dalla presenza di aggregati proteici: la cosiddetta beta-amiloide si trova nella malattia di Alzheimer, l’alfa-sinucleina (nei corpi di Lewi) nella malattia di Parkinson, una forma modificata di proteina prionica in varie encefalopatie spongiformi trasmissibili ecc. Non solo, ma anche le cosiddette malattie da espansione glutamminica (ad indicare che la proteina in questione si aggrega quando il numero di residui di glutammina, costituenti sequenze ininterrotte nell’ambito di essa, superi le circa 40 unità), quali la malattia di Huntington, quella di Kennedy ecc. sono caratterizzate dalla presenza di aggregati di proteine (1).
Il modo in cui si formano tali aggregati insolubili, fibrilliformi, di proteine altrimenti normali è oggetto di intenso studio: fra diversi esempi possibili, basti ricordare che una piccola proteina globulare, l’acilfosfatasi da tessuto muscolare umano, in particolari condizioni ambientali si aggrega a formare fibrille amiloidi grandemente organizzate (2, 3), e che in condizioni relativamente blande (pH 9, 65 °C) la mioglobina da muscolo scheletrico di cavallo forma fibrille indistinguibili da quelle amiloidi (4). Questi risultati danno supporto all’idea già avanzata (5, 6) che qualsiasi proteina, quando si trovi in elevate concentrazioni e in condizioni ambientali che ne destabilizzino la struttura nativa, può dare luogo a forme fibrillari, cioè, ad aggregati molecolari.
La ribonucleasi A da pancreas bovino è una proteina strutturalmente versatile e perciò adatta allo studio della maniera in cui una proteina può formare aggregati. Se liofilizzata da soluzioni di acido acetico al 40%, forma dimeri (7), trimeri, tetrameri, pentameri e probabilmente aggregati superiori in quantità via via più modesta, ciascuno dei quali si presenta in forma di almeno due isomeri conformazionali, riproducibili in proporzioni reciproche sostanzialmente invariabili, e tutti dotati di attività enzimatica praticamente immutata nei riguardi di RNA a singola catena, via via crescente invece nei riguardi di RNA a doppia elica (8, 9). I due conformeri dimerici e uno dei due trimerici sono stati già cristallizzati e ben caratterizzati strutturalmente: essi sono oligomeri formatisi per “scambio” di dominii da parte di ciascun monomero partecipante alla struttura oligomerica. Nella terminologia introdotta da Eisenberg, (10) tale evento si denomina “3D domain-swapping”. La RNasi A ha due peculiarità che la distinguono da tutte le proteine attualmente note (oltre 30) per essere in grado di formare aggregati tramite 3D domain-swapping: una è quella di poter scambiare ad un tempo l’estremità N-terminale (residui 1-15) e quella C-terminale (residui 116-124); l’altra è quella di formare -col meccanismo suddetto- strutture oligomeriche sia lineari che circolari. Infatti, dei due conformeri dimerici uno, minoritario, si forma per scambio degli estremi N-terminali (11); l’altro, maggioritario (il rapporto col precedente è di 4:1) per scambio delle estremità C-terminali di ciascun monomero (12). Dei due trimeri, uno, leggermente maggioritario rispetto all’altro, non è stato cristallizzato, ma per via indiretta e, cioè, studiandone la cinetica di dissociazione, ne è stata proposta una struttura lineare molto verosimile, formata da tre monomeri uniti l’uno all’altro in serie per scambio degli estremi C-terminali fra i primi due e delle estremità N-terminali fra il terzo ed uno dei due precedenti (12). Naturalmente, il modello può essere visto in due forme strutturali opposte ma complementari: l’una è quella ora definita; l’altra può essere quella di un trimero nel quale due monomeri si leghino per scambio dei loro estremi N-terminali ed un terzo monomero si unisca in serie ad uno dei precedenti per scambio degli estremi C-terminali. L’altro conformero trimerico, leggermente minoritario, è stato cristallizzato e si è rivelato essere una struttura circolare, che ricorda la forma di un’elica, formata dallo scambio degli estremi C-terminali di ciascun monomero (13). Dei due tetrameri, sulla base della loro cinetica di dissociazione, sono stati proposti due modelli lineari, anch’essi molto plausibili (9).
Va pure ricordato che la RNasi A è in grado di aggregare anche in condizioni molto più blande di quelle della liofilizzazione da soluzioni di acido acetico. La proteina dimerizza, infatti, pressochè spontaneamente a 37 °C e a 65 °C, a pH 6,5 (14), mentre da oltre 30 anni è noto che anche un eccesso di substrato ne induce la dimerizzazione (15).
Varie considerazioni e dati oggettivi, infine, fanno pensare che il meccanismo di “scambio” ch’è alla base della struttura degli oligomeri della RNasi A possa avere implicazioni per la formazione di fibrille amiloido-simili (12) e tale idea ha trovato solido supporto dalla constatazione che (1) una proteina amiloidogenica, la cistatina C (16), e (2) la proteina prionica umana (17) dimerizzano tramite il meccanismo di “3D domain-swapping”.
Lo studio degli eventi molecolari alla base del processo di aggregazione proteica tramite l’indagine del modo in cui si aggrega una così versatile proteina, qual è la RNasi A bovina, è certamente promettente e utile per la comprensione e, alla lunga, la possibile prevenzione della formazioni di aggregati, quali l’amiloide, caratterizzati da così gravi conseguenze patologiche. Va da sé che lo studio strutturale degli oligomeri della ribonucleasi A ha anche precise attinenze col programma già avanzato di studiare i peculiari e sorprendenti effetti catalitici, che tali oligomeri acquistano e manifestano nei riguardi di strutture secondarie di RNA, in relazione a possibili correlazioni con almeno alcune delle attività biologiche che sono particolarmente pronunciate in una ribonucleasi dimerica naturale, la BS-RNasi. Anzi, la caratterizzazione strutturale dei conformeri dimerici e trimerici della RNasi A ha già fornito e consentito di migliorare (13) le interpretazioni già proposte della efficiente azione catalitica che tali aggregati hanno nei riguardi di RNA a doppia elica e che possono riassumersi nell’ipotesi da tempo avanzata di una correlazione esistente fra numero di cariche positive di una molecola di ribonucleasi e la sua eventuale azione catalitica su di un substrato a doppia elica (18).
Bibliografia
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