Competenze visuo-percettive nella dislessia evolutiva: un vaglio dell'ipotesi del difetto visivo magnocellulare

Data inizio
21 novembre 2002
Durata (mesi) 
24
Dipartimenti
Neuroscienze, Biomedicina e Movimento
Responsabili (o referenti locali)
Tassinari Giancarlo

Il programma di questa unità mira a caratterizzare gli aspetti visivi della dislessia evolutiva. C’è tuttora ampio dibattito sulle basi biologiche della disfunzione; questo dibattito si intreccia con quello che riguarda una possibile differenziazione di sottotipi diversi di dislessici evolutivi.
Dopo un periodo in cui prevaleva la caratterizzazione linguistica, da qualche anno c’è stato un ritorno all’idea che difetti nell’elaborazione visiva possano contribuire alle difficoltà di lettura dei dislessici: questo a partire da studi che facevano ipotizzare un difetto di una settore “transiente” delle vie visive, che fu successivamente identificato nel sistema magnocellulare (M).
La via visiva M origina da cellule gangliari retiniche grandi, con grandi campi recettivi, e quindi scarsa risoluzione spaziale; sono efficaci anche luminanze basse, mentre differenze di colore non hanno effetto; infine la risposta è transiente (alta risoluzione temporale).
Esistono in letteratura evidenze sia morfologiche che funzionali del difetto della via M nella dislessia evolutiva. Il nesso causale tra la compromissione della via M e la difficoltà di lettura potrebbe essere una mancata inibizione della via parvocellulare (P), ad alta risoluzione spaziale ma bassa temporale, da parte della via M; ipotesi meno dirette puntano sulla destabilizzazione della fissazione binoculare, sul difetto generale dell’elaborazione temporale, sul difetto attenzionale conseguente alla ridotta attività della via visiva dorsale, e perfino sulla disfunzione cerebellare. Dati dissonanti sono stati ricondotti alla coesistenza di sottotipi di dislessia evolutiva, la cui distinzione peraltro è stata confusa dalla classificazione in uso per la dislessia acquisita, e dall’estensione di studi fatti in ambiente anglofono a lingue di ortografia più trasparente.
Basandoci su queste premesse, ci proponiamo di mettere a punto test psicofisici visivi idonei a vagliare l’ipotesi del difetto magnocellulare in dislessici evolutivi di madrelingua italiana. Nello stesso tempo, e agendo in modo coordinato con le altre unità di questo progetto, mireremo a distinguere sottotipi diversi di dislessici anche attraverso i test visivi.
I primi tre compiti che ci proponiamo di usare saranno mirati specificamente alla funzione M. Il primo valuta il rilevamento del movimento apparente a basso contrasto; in questo stesso compito, le cellule gangliari retiniche M della scimmia mostrano una soglia di risposta ad ampiezze di spostamento minori via via che il contrasto tra una sbarretta e lo sfondo aumenta (le cellule P invece rispondono solo al contrasto più alto). Il confronto con la prestazione di soggetti umani normali mostra inoltre che la loro risposta corrisponde a quella delle cellule M; nostri dati precedenti attestano che patologie che causano compressione delle vie M compromettono questo compito.
Il secondo compito consiste nella determinazione della soglia di contrasto per la corretta discriminazione di caratteri alfabetici. Si tratta quindi di un compito di sensibilità al contrasto in cui la discriminazione riguarda non frequenze spaziali diverse, ma l’oggetto specifico della difficoltà di lettura, cioè i caratteri dell’alfabeto.
L’esame della sensibilità al contrasto costituirà il terzo compito e verrà usato come “controllo interno”, in quanto è noto che il dominio del sistema M e rispettivamente P corrispondono a frequenze spaziali diverse. Ci aspettiamo di riscontrare una prestazione deficitaria alle frequenze spaziali più basse e non a quelle più alte.
La logica della doppia dissociazione in psicologia sperimentale richiede che la specificità di un difetto sia comprovata dal permanere di altre funzioni normali; in questo caso, una prestazione visiva difettosa potrebbe essere attribuita ad uno specifico deficit del sistema M solo qualora fosse provata la normale funzionalità del sistema P. A questo scopo, ci proponiamo di utilizzare altri due test. Il primo è un compito di persistenza visiva; il è il ben noto test di Stroop, che evidenzia l’incoercibile interferenza del processo automatico di lettura nella denominazione di colori, ed è stato spesso usato per le sue valenze attenzionali.
La raccolta di dati normativi occuperà una buona parte del primo anno della ricerca. Contemporaneamente si cominceranno a raccogliere i dati dei soggetti dislessici. Tale raccolta sarà completata nel secondo anno, quando sarà possibile analizzarli e metterli in relazione a tipi diversi della dislessia, secondo i criteri nel frattempo messi a punto attraverso la collaborazione con le altre Unità di Ricerca del progetto.

Enti finanziatori:

Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca
Finanziamento: assegnato e gestito dal Dipartimento

Collaboratori esterni

Maria Di Stefano
Università di Pisa Dipartimento di Fisiologia e Biochimica

Attività

Strutture

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